Mia mamma era una grande lettrice. Le piacevano tanto i libri e ne leggeva di ogni genere. Diceva sempre che un giorno ne avrebbe scritto uno che parlasse della sua vita e lo avrebbe intitolato “Il cortile nel cortile”.
Il libro non l’ha mai scritto. Qualche anno fa, io ho scritto questo testo per un sito che ora non c’è più, non si può definire un racconto, piuttosto una memoria e presa da nostalgia, oggi ho voluto pubblicarlo.
Mi manca la neve.
Il cortile nel cortile
L’inverno del 1985 se lo ricordano in molti a Milano. Almeno chi c’era e c’è ancora, si ricorda della grande nevicata.
Era gennaio e si erano appena spente le luci natalizie nelle vie del mio piccolo paesino non molto lontano dalla grande città lombarda. Avevamo appena traslocato nella nuova casa, una casa molto più grande, a tre piani con giardino davanti e dietro ma ancora nello stesso cortile che mi aveva visto nascere e crescere fino ad allora, attorniata da zii e parenti affini. L’appartamento che avevamo lasciato, in una tipica casa di ringhiera in corte, era proprio sopra a quello di mia nonna, che divideva con l’ultima delle sue sorelle.
Mia mamma voleva allontanarsi dalla costante presenza dei parenti con cui non andava sempre d’accordo, come succede spesso nelle grandi famiglie ma, allo stesso tempo, non voleva spostarsi molto dalla nonna per poterla accudire nei momenti di bisogno. Quando la casa in fondo al cortile venne messa in vendita, ai miei genitori sembrò un’ottima occasione per avere meno parenti intorno, pur rimanendo nelle vicinanze.
Per arrivare alla nuova casa dal cortile principale bisogna oltrepassare un cancello in ferro, vecchio e arrugginito. Era retto da una cinta di grosse mura, coperte in parte da uno strato di muschio e dal quale affioravano vecchi pietroni che probabilmente arrivavano dal letto del fiume vicino, il Ticino. Era un cortile nel cortile. Mi piaceva la nuova casa, era grande, aveva una mansarda che mi immaginavo un giorno sarebbe diventata la mia camera o il mio studio e aveva quel bel giardino sul retro, che sembrava uno di quei giardini segreti che la mamma mi raccontava quando mi parlava dei libri che leggeva.
Ci eravamo trasferiti qualche mese prima durante l’autunno, poco prima del mio compleanno e in quell’anno che frequentavo la terza elementare, avevo ricevuto in regalo una camera tutta per me, senza dover più sopportare gli sbalzi d’umore di mia sorella diciottenne. Di contro parte anche lei avrà goduto di un meritato silenzio dopo aver retto per otto anni i miei lamenti notturni. Soffrivo di incubi e insonnie notturne, fin da molto piccola e mi immagino quali fatiche, i miei genitori e mia sorella, hanno dovuto sostenere in quei anni per sopportarmi durante le notti di veglia forzata.
La mia nuova camera era al secondo piano ed ero felice di averla tutta per me ma, a causa delle mie fobie infantili, quando verso sera dovevo andare a dormire da sola mi trovavo in uno stato di ansia mista a puro terrore. Per riuscire a dormire, appena spegnevo la luce, mi coprivo la testa con le coperte e rimanevo avvolta come una mummia con solo la punta del naso scoperta per respirare meglio. Avevo una paura irrazionale della scala a chiocciola che portava alla mansarda, la vedevo dalla porta socchiusa della mia camera, sempre aperta per non rimanere chiusa nella stanza da sola e mi immaginavo chissà quali pericolosi mostri potessero scendere dal sottotetto.
Non ricordo in quale giorno della grande nevicata successe. Ricordo i cumuli di neve ai bordi delle strade, ricordo che mio padre, una sera rientrando dal lavoro, non poté ritirare la macchina sotto casa per la montagna di neve accumulata fin quasi alla nostra porta e che, grazie a quello, la sua auto rimase indietro giusto lo spazio in cui cadde il vecchio comignolo dal tetto, spezzato e spinto dalla troppa neve. Successe comunque durante quei giorni colorati di bianco che trovai un posto nuovo dove rifugiarmi.
Non era uno sgabuzzino o un pertugio segreto ma un semplice davanzale, situato proprio nella mia nuova cameretta. C’era una finestra nell’angolo proprio da parte all’armadio a ponte che sovrastava il mio letto, dava sul nostro giardino segreto e la strada adiacente. Non era particolarmente grande, solo una comune finestra a doppio battente ma con un davanzale in granito, ampio a sufficienza per sorreggere e contenere il mio piccolo corpo da bambina. Ci stavo comodamente seduta, appoggiavo la schiena al grosso muro portante e allungavo quasi del tutto le gambe per la larghezza della finestra. Le imposte le tenevo sempre aperte per lasciare filtrare la luce del lampione appena fuori sulla strada, così da non ritrovarmi in una stanza buia e piena di spaventose creature immaginarie.
Iniziai a sedermi sopra al davanzale durante i pomeriggi. Studiavo la lezione, giocavo con le Barbie, leggevo un libro, ci facevo persino merenda ma più di tutto guardavo passare le persone a piedi, al di là delle mura del piccolo giardino. Immaginavo storie e vite, inventavo amori e dolori di improbabili personaggi basati sui pochi passanti di una via già poco trafficata. Quello divenne il mio posto speciale e il mio passatempo nelle grigie giornate invernali, quando anche gli altri bambini del cortile rimanevano tappati in casa. Era la mia strana fortezza aperta, dove piano piano la bimbetta paurosa lasciava il posto a una bambina più consapevole di quello che la circondava.
Durante una di quelle serate nevose, armata di una coperta dai mille colori fatta all’uncinetto dalla nonna e piena di coraggio, spensi la luce e facendo appiglio coi piedi sul calorifero, mi appollaiai sul mio davanzale. Guardavo la neve cadere dal cielo, coprire tutto il giardino: i vasi ancora senza fiori e i rami scheletrici delle piante da frutto, le rose tagliate per affrontare l’inverno e come ancora mi capita anche in età adulta, rimasi ad osservare la calma discesa dei fiocchi che spargeva bianco ovunque. Era la prima volta che rimanevo sola nella penombra senza avere paura. Niente coperta sulla mia testa, solo la calma che la neve sa infondere.
In quella notte d’inverno ho smesso di avere paura.